«Cristiani, riposizionatevi»: così Ouellet cede al mondo
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Per il cardinal Ouellet l'era del cristianesimo è finita, occorre riposizionarsi all'insegna del pluralismo e senza esclusività. Un cedimento al mondo antievangelico.
Viviamo in tempi parecchio interessanti, nei quali capita di leggere cose straordinarie. Questa è la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho letto un articolo del cardinale Ouellet sulla prestigiosa rivista teologica Communio.
L’articolo, seppur complesso, è degno di nota e di riflessione. Dopo un paragrafo introduttivo, si parte col botto: «L’era del cristianesimo è finita». Affermazione da brividi; o da grasse risate, a seconda del punto di vista. Come può finire l’era del cristianesimo? Tutta la storia è cristianesimo, dato che Cristo è l’alfa e l’omega. Certamente il porporato ha attratto la nostra attenzione.
«È iniziata una nuova era ‒ spiega ‒, in cui i cristiani devono riposizionarsi in relazione al loro ambiente se vogliono trasmettere l’eredità culturale e spirituale del cristianesimo. Il cristianesimo è estraneo a questo ambiente; è accolto con indifferenza o addirittura ostilità, anche nei paesi tradizionalmente cattolici». Rileggiamo con calma. «Il cristianesimo è estraneo a questo ambiente; è accolto con indifferenza o addirittura ostilità, anche nei paesi tradizionalmente cattolici». Di quale «ambiente» si tratta? Forse del mondo? Se così fosse, non ci sarebbe nulla di strano: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15, 18-19). Quindi, se il mondo odia il cristianesimo (com’è naturale che sia), «i cristiani devono riposizionarsi»? E cosa significa «riposizionarsi»?
Lo spiega poco dopo: «Dobbiamo riflettere sul futuro del cristianesimo in un contesto che si aspetta che i cristiani adottino un nuovo paradigma per testimoniare la propria identità. Per questo dobbiamo guardare alla diversità culturale e religiosa con disponibilità al dialogo e offrire la visione cristiana gratuitamente e con attenzione alla fraternità umana».
Dunque il mondo (ammesso che sia questo il significato di «contesto») chiede al cristianesimo di «adottare un nuovo paradigma». La locuzione è da brividi, e viene così “spiegata”: «Per questo dobbiamo guardare alla diversità culturale e religiosa con disponibilità al dialogo e offrire la visione cristiana gratuitamente e con attenzione alla fraternità umana». Perché «dobbiamo»? Da quando la Chiesa è tenuta a corrispondere alle aspettative del mondo? E poi: l’apostolato è sempre stato disponibile al dialogo (sebbene quasi sempre unilaterale), gratuito (anzi, pagato a caro prezzo) e attento alla fraternità umana. Questo non è un «nuovo paradigma»: è quello che i cristiani hanno sempre fatto.
Forse, è nel prosieguo che si intuisce che cosa il cardinale Ouellet intenda per «nuovo paradigma», laddove sostiene che «i tradizionali punti di riferimento razionali non possono più rivendicare l’esclusività. Il cambiamento epocale, insomma, prevede il pluralismo come elemento costitutivo di ogni società nel mondo globalizzato». Anche in questo caso, siamo di fronte a un non sequitur. Che «il cambiamento epocale prevede il pluralismo come elemento costitutivo» importa fino ad un certo punto. E non si capisce perché non sarebbe più ammissibile la rivendicazione dell’esclusività dei «tradizionali punti di riferimento razionali». È sufficiente dare un’occhiata alla dichiarazione Dominus Jesus, per capire che invece non è solo possibile, ma necessario.
Insomma, Sua Eminenza usa toni importanti e frasi ad effetto - «l’era del cristianesimo è finita», «i cristiani devono riposizionarsi», «nuovo paradigma»… -, ma non si capisce dove voglia arrivare. Non sta bene usare il termine «supercazzola» quando a scrivere è un cardinale; però sembra proprio esserlo. E tonante. Tra tutti questi slogan, non facilmente decifrabili, appare alla mente una immagine chiara, precisa: un cartello appeso ad un negozio. Su questo cartello, una scritta: «Chiuso per fallimento». Io l’ho capita così: «Se vogliono trasmettere l’eredità culturale e spirituale del cristianesimo» i cristiani devono smettere di trasmettere l’eredità culturale e spirituale del cristianesimo; se vogliono «testimoniare la propria identità», devono piantarla di testimoniare la loro identità. Il sale della terra deve perdere sapore, per essere gettato via e calpestato dagli uomini (Mt 5, 13).
Nel finale, l’articolo assume toni prescrittivi: «Questa nuova situazione deve essere accettata come permanente». A quale situazione si riferisca il cardinale, non è chiaro: all’odio del mondo nei confronti del cristianesimo? A un oscuro «nuovo paradigma»? Al fatto che un principe della Chiesa si esprima come il conte Mascetti? Una cosa è chiara: «Questa nuova situazione deve essere accettata come permanente». Così vanno le cose, così devono andare.
A preoccupare ulteriormente è il fatto che l’articolo intende lanciare un Convegno che si terrà in Vaticano il 1° e il 2 marzo prossimi, con la partecipazione di papa Francesco (e del cardinale Fernández), dal titolo “Uomo-donna immagine di Dio. Per una antropologia delle vocazioni”. Se le premesse sono quelle indicate da Ouellet, c’è poco da star sereni.
Qualcuno, a questo punto, citerà Lenin e si chiederà: che fare? Per quanto mi riguarda, non ho dubbi: «Chi persevererà sino alla fine, sarà salvato» (Mt 24, 13).